Già con Satura, apparso nel ’71 dopo un lungo silenzio, Eugenio Montale aveva proposto rilevanti novità nel cammino della sua poesia; novità che sono ancora più evidenti nel Diario del ’71 e del ’72: il ritorno ai valori della comunicazione e l’ulteriore apertura a una dimensione quotidiana del reale. Ma, s’intende, conservando in pieno la complessità del messaggio e assorbendo, nella pronuncia più lineare e a volte colloquiale, non pochi tratti dell’incisiva tensione verticale dei libri precedenti. Si impone dunque nel Montale diaristico la coraggiosa scelta a favore di un dire più prosastico (con momenti di vivace estro plurilinguistico) e di una intonazione narrativa o gnomica. E forse oggi, più ancora di quando questi versi apparvero per la prima volta, la semplicità elegantissima della loro natura, la loro verità antiretorica ci appaiono esemplari. In queste pagine leggiamo un intreccio di meditazioni sull’esserci e sul mutare nel tempo di un soggetto che osserva se stesso e il mondo delle cose in cui è inevitabilmente immerso. Sono vere e proprie quotidiane annotazioni in versi che vanno dallo sguardo sulla realtà minima alla tensione metafisica, dalla riflessione sulla poesia stessa al pensiero di un’irraggiungibile divinità: il tutto nel contesto di una società criticata con ironia tagliente. «Montale – è l’acutissima interpretazione di Andrea Zanzotto – parla giorno per giorno vibrando intorno a sé un pericoloso fremito-invito a non demordere, a non dare dimissioni, a sbavare e a scalciare anche se forse tutto questo non è nulla.»