Perché riconosciamo un gatto come tale non è problema fìlosofico di poco conto, almeno da Platone ai giorni nostri. Perché concordiamo nell'assegnargli il nome "gatto" sarebbe già di per sé problema altrettanto interessante, se non fosse che all'intersezione delle due domande ne sorge una terza, che caratterizza l'intero corso della filosofia moderna, e cioè quanto la nostra percezione delle cose dipenda o dalla struttura del nostro apparato cognitivo o dalla struttura del nostro apparato linguistico (o da entrambe). A questo punto i problemi della semiotica si legano strettamente a quelli della gnoseologia o, per dirla in termini contemporanei, delle scienze cognitive. A più di vent'anni dalla pubblicazione del Trattato di semiotica generale, questi saggi riprendono una serie di temi (la semiosi percettiva, l'iconismo, il rapporto tra linguaggio, corpo ed esperienza, il riferimento) che in quel libro non avevano ricevuto sufficiente attenzione, ma di fronte ai quali quella forma di filosofia che è una semiotica generale deve pronunciarsi. Rinunciando a una trattazione sistematica, l'autore compie una seria di esplorazioni a partire dai dati del senso comune: da cui molte "storie" o apologhi, che come tanti apologhi hanno per protagonisti degli animali. Tra questi prende una posizione di rilievo l'ornitorinco, che pare fatto apposta per mettere in crisi molte teorie della conoscenza.